Far bollire il taro in abbondante acqua fino a che i tuberi possono essere trapassati senza difficoltà con un coltello.
Nota
I tuberi più giovani e piccoli hanno un colore grigio chiaro e richiederanno tempi di cottura minori. A seconda della varietà e della dimensione, possono acquisire una leggera tonalità violacea, o zone viola alternate a bianche, dovuta alla presenza di pigmenti fenolici. La purea che ne risulterà potrà dunque assumere diverse tonalità cromatiche, dal bianco al grigio al violetto: sono tutte colorazioni perfettamente normali. Col procedere della fermentazione, l’aumento dell’acidità renderà più cariche le tonalità grigio-violette.
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Togliere dal fuoco e lasciar raffreddare.
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Eliminare la buccia esterna
Nota
La buccia del taro ha una superficie ruvida, irsuta e disomogenea che rende molto difficile la rimozione di terra e altre impurità. Per questa ragione viene generalmente rimossa. La buccia esterna si staccherà con estrema facilità dai tuberi già cotti. In alternativa, si sarebbe potuto sbucciare il taro crudo prima della bollitura, ma l’operazione è decisamente più tediosa.
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4. Schiacciare e pestare il taro utilizzando pestello e mortaio oppure un grosso sasso e un tagliere di legno, fino ad ottenere una purea abbastanza uniforme. A seconda della fluidità desiderata, si può aggiungere durante l’operazione un po’di acqua, poco alla volta.
Nota
In alternativa, è anche possibile utilizzare un frullatore. In questo caso si otterrà una consistenza più fluida: attenzione quindi a non aggiungere troppa acqua fin da subito. Il poi si può preparare con varie consistenze, che gli hawaiani classificano sulla base di quante dita sono necessarie per mangiarlo: per quello più colloso basta un dito, e si chiama perciò one finger poi, per quello mediamente fluido ne servono due, il two finger poi, per quello fluido ne servono tre, il three finger poi. La scelta dipende dalla destinazione d’uso: se si prevede di mangiarlo come tale o come salsa di accompagnamento. Per ottenere un one finger poi si deve necessariamente usare il mortaio e aggiungere pochissima acqua. Usando un frullatore si otterrà direttamente un two finger poi.
5
Completare l’impastamento utilizzando le mani, e alla fine radunarlo in un panetto.
Nota
Durante l’impastamento con le mani vi accorgerete che la polpa del taro presenta degli addensamenti più grumosi. Spesso vengono rimossi durante l’impastamento per ottenere una consistenza più liscia e omogenea, ma non è obbligatorio.
6
Bagnare la superficie del panetto con una cucchiaiata d’acqua per mantenerla umida.
Nota
Se disponibile, aggiungere anche una cucchiaiata di un liquido probiotico come la salamoia della giardiniera, dei cetriolini o dei crauti, del kefir d’acqua, o del sieroinnesto o anche un cucchiaino di yogurt bianco naturale, in modo da favorire l’inizio della fermentazione. Il taro, infatti, avrà perso con la bollitura gran parte dei suoi batteri lattici naturalmente presenti ma li prenderà soprattutto dall’ambiente, dagli strumenti di lavoro, dalle mani. Se siete alle Hawaii e fate sempre il poi con lo stesso mortaio sullo stesso legno, i batteri saranno già in giro dappertutto, ma se lo fate a casa vostra per la prima volta, darete certamente una mano utile all’avvio dell’intero processo inoculando dei batteri fermentativi.
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Cospargere una spolverata di sale marino integrale sulla superficie del panetto, per favorire la selezione dei batteri acidificanti
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Coprire il panetto con un canovaccio pulito per tenere lontani eventuali insetti
9
Lasciare a temperatura ambiente per alcuni giorni
Nota
In genere occorrono due-tre giorni per un prodotto lievemente acidulo, col procedere della fermentazione il colore diventa più grigio-violaceo e il sapore più acidulo.
10
Una volta raggiunto il sapore desiderato, trasferire in frigo per rallentare la fermentazione.
Nota
In frigo, si conserva per almeno una o due settimane.
Come si consuma?
Il poi è la materia prima per moltissime preparazioni: gli hawaiani lo usano spesso per preparare delle polpettine che poi vengono fritte: così facendo ovviamente si perde l’aspetto probiotico. Il modo migliore di consumarlo è così com’è, come dip di accompagnamento alle verdure crude, oppure su un crostino. Si usa spesso anche impastarlo a cacao, frutta o ingredienti dolci come dessert. Oppure per la preparazione di smoothie: un esempio tipico è insieme a banana e cocco.
Dr. Stefano Vendrame Nutrizionista, Fulbright Alumnus, Ph.D. Scienze della Nutrizione
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