L’utilizzo dell’olio vergine di cocco è a volte promosso in virtù della sua particolare composizione lipidica: pur essendo costituito per
più del 90% da grassi saturi, infatti, oltre i due terzi di essi non sono quelli normalmente più largamente più diffusi negli alimenti, dalla coda carboniosa più lunga, ma sono grassi a
media catena.
Inoltre, a differenza dell’olio di cocco
raffinato (cupra), quello
vergine è anche molto ricco di
vitamina E e
polifenoli. Alcuni autori ne hanno
ipotizzato effetti positivi per il controllo del peso, la salute
cardiovascolare, e persino il sistema
immunitario e la protezione dalle malattie
neurodegenerative [
1].
In realtà però, la maggior parte di queste ipotesi non derivano da studi clinici fatti utilizzando direttamente l’olio di cocco, ma da
ipotesi dedotte sulla base dei suoi componenti, e in particolare dei suoi grassi [
2].
La biochimica dei grassi a media catena
I grassi a media catena vengono effettivamente
metabolizzati in modo diverso.
Innanzitutto, vengono
assorbiti con maggiore facilità e più rapidamente, perché passano la barriera intestinale per diffusione passiva
senza bisogno di trasportatori, e non hanno bisogno di essere rimontati nei trigliceridi una volta passata la barriera intestinale.
Inoltre, date le loro dimensioni più piccole, possono passare nel sangue
senza essere impacchettati nelle navicelle di trasporto (le lipoproteine) necessarie per i loro ‘colleghi’ più lunghi, ma semplicemente legati all’
albumina sierica. Grazie a questo, a differenza degli altri lipidi, non devono passare attraverso il sistema linfatico prima di essere immessi nella circolazione, ma
possono entrare direttamente in circolo.
Una volta in circolo, infine, sono quelli
utilizzati preferenzialmente a scopo energetico: se le nostre cellule possono scegliere tra un grasso a media catena e uno a lunga catena per ricavarne energia, sceglieranno quello medio.
Essendo dunque più velocemente disponibili all’ossidazione per ricavarne energia, questi grassi sono anche molto apprezzati da coloro che vogliono
indurre rapidamente la chetogenesi, abbassando al contempo l’apporto di carboidrati.
Ma l’olio di cocco è una cosa diversa…
I dati della ricerca pura sui grassi a media catena, tuttavia,
non possono essere applicati direttamente all’olio di cocco. Infatti tutta la descrizione fatta sopra vale perfettamente solo per i grassi a media catena di dimensioni più piccole, e in particolare il
caproico (con la coda lunga 6 atomi di carbonio), il
caprilico (8 atomi) e il
caprico (10 atomi).
Invece, i due acidi grassi più grandi di questa famiglia - il
laurico (12 atomi) e il
miristico (14 atomi) - si comportano un po’ da dottor Jekyll e mister Hyde: a volte vengono metabolizzati come i grassi a media catena, a volte invece seguono il normale metabolismo dei grassi a lunga catena, e quindi tutti i vantaggi sopra descritti non si applicano. Ma laurico e miristico sono precisamente i due grassi prevalenti nell’olio di cocco!
L’altra faccia della medaglia
Inoltre, anche per il metabolismo dei grassi a media catena,
non tutto è oro quello che luccica. La maggiore facilità di assorbimento di questi grassi non è necessariamente una cosa positiva: può esserlo per uno sportivo che li brucia subito, ma non per una persona sedentaria che non ne ha bisogno.
Se è vero infatti che le cellule danno priorità a loro quando si tratta di bruciarli a scopo energetico, non è affatto vero che “promuovono” l’utilizzo dei grassi a scopo energetico come qualcuno sostiene erroneamente: l’organismo brucia i nutrienti solo se ha bisogno di energia per fare qualcosa.
Assumere grassi a media catena non “induce” di per sé alcun ulteriore utilizzo di grassi rispetto alle necessità dell’organismo.
E siccome i grassi a media catena hanno più difficoltà a essere incorporati nei trigliceridi di riserva,
maggiore è il loro rischio di rimanere in circolo e depositarsi sulle arterie se l’organismo non ha bisogno di ricavarne energia.
Infine, il loro ingresso diretto nel circolo sanguigno, attraverso la vena porta invece che attraverso il sistema linfatico come il resto dei lipidi, significa che quei grassi
arriveranno direttamente al fegato, che in assenza di altro da farci, finirà semplicemente per accumularli, aumentando il
rischio di steatosi epatica.
Cosa dicono i dati sperimentali
Insomma, come sempre accade, le cose non sono mai tutte bianche o tutte nere. Se gli acidi grassi a media catena sono ottimi per chi ha problemi di malassorbimento dei lipidi, e possono avere un senso in alcuni casi per gli sportivi interessati alla chetogenesi ma che hanno bisogno di energia da bruciare, per tutti gli altri vale ancora la stessa nozione che conosciamo già dagli anni novanta del secolo scorso, e cioè che i
grassi a media catena rischiano proprio di essere quelli maggiormente aterogenici [
3].
A riprova di ciò, l’unico effetto statisticamente significativo che è emerso da una recente revisione degli studi clinici disponibili sull’olio di cocco, è un
aumento dei livelli di colesterolo totale e colesterolo LDL, quello meno favorevole, in seguito al suo utilizzo [
4].
Conclusione
In conclusione, se il cocco come tale è un eccellente alimento energetico, incoraggiare
un utilizzo abbondante di olio di cocco a chiunque
non è affatto una buona idea [
5]. I vegani che abbiano bisogno di grassi solidi a temperatura ambiente, da sostituire al burro, possono certamente utilizzare olio di cocco vergine o olio di palma vergine, ricordando però che devono essere
usati con la stessa moderazione di tutti gli altri grassi saturi, e mantenuti sotto il 10% delle calorie totali giornaliere.