Spesso responsabili del tipico ‘
cerchio alla testa’ di quando si beve un po’ troppo vino (
soprattutto bianco) la sera precedente, ma senza arrivare al punto di ubriacarsi (nel qual caso si tratterebbe invece di postumi di sbornia dovuti all’alcol), i solfiti fanno parte di quella categoria di
additivi alimentari il cui
utilizzo non è completamente innocuo, ma ammesso in alcuni prodotti sulla base di un
rapporto rischi/benefici.
Quanto dobbiamo preoccuparcene? Vediamo più nel dettaglio di cosa si tratta.
Sono additivi conservanti
Anidride solforosa e solfiti sono una
famiglia di additivi, indicati sulle etichette europee anche dalle sigle che vanno
da E220 a E228, e utilizzati principalmente a
scopo conservante, sia per la loro
attività direttamente
antimicrobica (rompono i ponti disolfuro delle proteine strutturali di diversi batteri), sia per la loro
attività antiossidante.
Alcuni soggetti sono ipersensibili
Anche se le
dosi impiegate negli alimenti sono
lontane da quelle necessarie per esercitare il loro
effetto tossico, alcuni soggetti sono
particolarmente sensibili a queste sostanze, che possono causare effetti spiacevoli quali
mal di testa, nausea e
diarrea.
In alcuni casi più gravi, frequenti soprattutto tra i
soggetti asmatici, possono scatenare anche
reazioni allergiche,
spasmi bronchiali e
orticaria.
Distruggono la vitamina B1
Un altro effetto negativo dell’anidride solforosa è quello di
degradare la tiamina (la vitamina B1), scindendo l’anello pirimidinico dal gruppo tiazolico, e quindi
rendendo inattiva questa preziosa vitamina.
Per questa ragione l’utilizzo dei solfiti come additivo è
vietato, o comunque
limitato a casi particolari e molto specifici, nei prodotti a base di
carne, cereali e legumi, vale a dire in quegli alimenti che sono fonti importanti di vitamina B1. In passato, invece, venivano usati massicciamente per conferire un
aspetto più ‘fresco’ alla carne macinata, oltre che a molti
salumi e insaccati.
Oggi, l’utilizzo di
quantità limitate di solfiti in questi alimenti è
ammesso solo in alcuni tipi di
salsiccia, alcuni
molluschi cefalopodi e crostacei (ad esempio, per
prevenire l'annerimento dei gamberi dopo la pesca), per lo
stoccafisso, la
gelatina di pesce e, per quanto riguarda i cereali, solo sull’
orzo perlato, l'amido isolato, la
farina e alcune barrette preconfezionate.
Un campo di utilizzo vasto ma selezionato
L’utilizzo di questi additivi è ammesso dalla legislazione europea, sulla base del rapporto rischi/benefici, su circa
60 prodotti alimentari.
Pur trattandosi di un vasto campo di utilizzo, esso è stato
fortemente limitato rispetto al passato, soprattutto per quanto riguarda le
dosi massime di utilizzo, e molti produttori tendono ad
utilizzarli sempre meno, ancorché consentiti, ove siano disponibili
alternative efficaci.
Ad esempio, venivano spesso utilizzati in passato per
evitare l’imbrunimento di frutta e verdura pretagliate (macedonie preconfezionate, verdure di quarta gamma, salad bar delle mense) o trasformate, ma si trattava spesso di un utilizzo prevalentemente estetico, e comunque facilmente rimpiazzabile da
alternative più innocue, come il
succo di limone o la
vitamina C.
Ad ogni buon conto, oggi la legislazione ne consente l’utilizzo solo su un numero limitato di prodotti vegetali, e in particolare sulle
verdure di colore bianco, l’aglio, la cipolla, lo scalogno, i funghi, le patate pretagliate o trasformate, la
frutta secca reidratata, i lychees, alcuni succhi di frutta, la
mostarda di frutta, la cannella, la polpa di rafano e la senape, alcuni condimenti a base di succhi di agrumi e l’aceto. Sono inoltre ammessi su
alcune marmellate, estratti di frutta gelificanti, pectina liquida e tutta una serie di prodotti e
preparati dolciari.
Vino e altri alcolici
L’utilizzo principe di anidride solforosa e solfiti avviene in
ambito enologico, in quanto tali additivi conferiscono una lunga serie di
vantaggi microbiologici, tecnologici e sensoriali nella
produzione del vino. Dell’utilizzo di solfiti in enologia, abbiamo parlato più diffusamente
in questo articolo. Oltre che nel vino, il loro utilizzo è ammesso anche nella
birra, nel sidro e una serie di altre
bevande alcoliche.
Conclusione
L’utilizzo di anidride solforosa e solfiti come additivi alimentari è
strettamente regolamentato, e ammesso sulla base di una
relazione rischi/benefici su un
numero vasto ma ben circoscritto di alimenti.
Rispetto al passato, il loro utilizzo è ammesso su un
numero più limitato di prodotti, e con
dosi massime assai
più basse.
L’utilizzo di questi additivi nei modi e alle dosi consentite dalla legge
non deve preoccupare, a meno di essere
allergici o
particolarmente sensibili a queste sostanze, la cui
presenza deve sempre essere
segnalata chiaramente sulle etichette. Tuttavia, la legislazione dovrà essere periodicamente rivista e imporre
restrizioni via via maggiori ove il miglioramento delle condizioni igieniche e dei processi tecnologici
consenta di farne a meno o sostituirli con altre
sostanze più innocue.